di Antonio Sacco
Cosa resta quando il tempo si ferma e la musica continua a battere nel cuore del mondo? Paul McCartney non è solo un uomo. È una sinfonia umana, un archetipo vivente di quel miracolo chiamato Beatles, ma anche molto di più. È l’uomo che ha saputo andare oltre la leggenda senza mai tradirla.
Nato il 18 giugno 1942 a Liverpool, in una casa qualunque di una strada qualunque, Paul ha scritto il lessico dell’immaginario musicale moderno. Quando incontrò John Lennon nel 1957, non si limitò a suonare: intuì, mescolò, rischiò. E insieme cambiarono il mondo.
Ma McCartney è anche colui che, dopo lo scioglimento dei Beatles, ha attraversato decenni con i Wings, da solista, con le colonne sonore, con le orchestre, con le canzoni d’amore più leggere e quelle che fanno tremare la coscienza. “Maybe I’m Amazed”, “Live and Let Die”, “Here Today”: ogni brano è un tassello che parla di dolore, rinascita, pace e bellezza.
Paul è il bassista che ha ridato dignità al basso nella musica pop. È l’autore che ha saputo rendere immortale la semplicità , l’artista che ha reso l’ottimismo una forma d’arte senza tempo.
Anche oggi, che ha attraversato otto decenni, McCartney non smette di creare, collaborare, cantare. La sua voce, pur segnata dal tempo, conserva un’anima che non ha mai avuto bisogno di effetti speciali per commuovere.
“And in the end, the love you take is equal to the love you make.” Questa frase, chiusura di Abbey Road, è forse la più pura sintesi della sua filosofia di vita. In un mondo che cambia troppo in fretta, Paul McCartney resta lì, come una stella polare: a ricordarci che la musica, quando nasce dal cuore, può davvero essere eterna.