di Antonio Sacco
In un mondo che celebra chi urla, Bruce Johnston ha sempre sussurrato.
Tra le pieghe armoniche dei Beach Boys, la sua voce ĆØ una carezza invisibile, un’eco dolce che tiene insieme lāoceano e la nostalgia.
Non il volto da copertina, ma lāanima nascosta. Non il surfista, ma il poeta che guarda da riva.
š¹ Lāultimo ad arrivare, il primo a restare
Entrato nella band nel 1965 per sostituire Brian Wilson nei tour, Bruce non ĆØ stato un semplice rimpiazzo. Ć stato colui che ha cucito le emozioni quando tutto sembrava sfaldarsi. Ha dato ordine al caos, armonia alle tensioni, presenza silenziosa alle assenze.
Ha scritto āDisney Girls (1957)ā ā una delle ballate più pure e malinconiche della musica americana ā come se volesse rallentare il tempo, fermare il rumore e regalarci un ricordo da cullare per sempre.
š¤ Voce dāoro in un coro celeste
Le armonie dei Beach Boys non sarebbero cosƬ celestiali senza il suo tocco. Nei brani come God Only Knows, Good Vibrations, Wouldnāt It Be Nice, cāĆØ il suo respiro tra le onde. Non ha mai chiesto il centro del palco. Ha preferito la parte alta del pentagramma, dove il falsetto si fonde con il cielo.
āļø Lāuomo dietro le quinte⦠anche per Barry Manilow
Pochi ricordano che Bruce ĆØ anche lāautore di āI Write the Songsā, il mega-successo portato al trionfo da Barry Manilow.
Un titolo che dice tutto: Bruce scrive le canzoni, ma non sempre le canta. Ć lāartista che costruisce il palco per gli altri, e poi si fa da parte, con la grazia di chi sa che la musica vera non ha bisogno di proclami.
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Bruce Johnston ĆØ la dolcezza che resiste.
In un’epoca dove il rock gridava, lui continuava a intonare accordi minori.
In un tempo in cui si correva, lui rallentava.
Tra onde, malinconia, polaroid in bianco e nero e armonie da tramonto, la sua voce continua a dirci una cosa semplice: la bellezza può essere sottovoce.